I lavori artistici che Angelo Noce, pittore e scultore di raro impegno
civile e di sofferta umanità tra i più significativi dell'area cremasca,
propone al pubblico, in questa mostra di Vaiano, credo siano destinati
a suscitare sentimenti contrastanti di inquietudine, stupore, sorpresa,
assieme a motivi di profonda meditazione.
Attraverso la trasformazione della materia più semplice e povera,
la terra, la sabbia, l'acqua, il silicio, la polvere di ferro e d'alluminio.
Angelo, come un archeologo che affonda le sue mani nel terriccio fresco
del nostro inconscio, come un "messaggero" di notizie ormai sepolte
dal tempo, fa venire alla luce i resti "parlanti" di un'umanità dimenticata,
il dramma arcaico e moderno della sofferenza e dell'insicurezza umana.
La scomposizione delle forme, la deformazione delle figure
("Frontiera", 1979), il groviglio delle linee e delle ombre sono
la ripresentazione inquietante del fatto che un uomo e una donna urlano,
in questo momento, su questa terra.
L'urlo come espressione di vitalità, di resistenza, di rifiuto
della rassegnazione.
L'urlo che stravolge i canoni estetici della "bellezza delle forme".
L'urlo che disgrega la materia, polverizza i percorsi noti e i tracciati
rassicuranti.
L'urlo. Ma chi urla? L'urlo di chi resiste a un destino che sembra
essere senza speranze.
L'urlo di un miliardo di esseri che reclamano dignità, frumento, acqua,
amore ("L'urlo africano", 1981).
L'urlo di tanti poveri e, per questo, meravigliosi Cristi, giustiziati
innocenti e abbandonati da tutti nel recinto dei condannati
("Un uomo", 1981).
L'urlo di un popolo intero angustiato dalla dittatura; l'urlo di un popolo
in festa la mattina della libertà (25 aprile 1945).
Dalla materia-madre-terra Angelo Noce fa affiorare ciò che da tempo
l'uomo della civiltà post-industriale ha rimosso e occultato.
Il suo lavoro di artista non è di facile lettura, sfugge agli sguardi
superficiali, è incomprensibile per chi si ostina a voler vedere l'arte
sempre e solo come armonia, bellezza, equilibrio dimenticandosi
che questi approdi non sempre sono necessari e che, semmai,
sono punti di arrivo di un lungo e tormentato cammino.
Scriveva il pittore norvegese Edvard Munch che un grido
d'angoscia non è bello e che è ipocrita far vedere soltanto
il lato piacevole della vita. È forse anche per questo che Angelo Noce, pittore per altro verso di paesaggi
e figure delicate e dai colori dolcissimi e surreali, ha via via fatto
convergere la sua ricerca espressiva sul versante più impegnativo della
materia-stucco-scultura, giungendo a esiti di alto livello per espressività,
tensione morale, impegno civile.
In queste sue opere non c'è pessimismo né sconfitta reale:
la polvere di tante miserie umane prende nuova forma, nuovo impasto,
si consolida in un'umanità contrassegnata da un profondo e religioso
desiderio di riscatto e di rinascita.
Desiderio che si potrebbe ancor meglio esprimere in questo pensiero
di Antonio Gramsci: "Tutti i semi sono falliti, eccetto uno che non so
che cosa sia ma che forse è un fiore".
Andrea
Ladina