A che cosa, dunque, rimanda la nozione di superficie - ora in relazione alla memoria – che con il titolo s'intende evocare? Certo al carattere calligrafico introdotto in queste opere, svolte in orditi lineari, accentuatamente sintattici, metonimici; in secondo luogo rinvia alla volontà di mostrare, per sottrazione retorica, la vastità della memoria, che non può che esteriorizzarsi se non per momenti, inquadrature e flashback, per superfici appunto; più di ogni altra cosa, però, é alla riduttività del visibile che si intende far riferimento affinché emerga con vigore nel confronto con il vero lavoro che l'artista compie dentro di sé, in un punto dove la dimensione del tempo é come compressa e percepita simultaneamente. I segni e le tracce lasciati dall'uomo nelle diverse stagioni del suo incedere divengono, in tal modo, memoria storica d'altro peso, si imprimono indelebili nell'alba della propria consapevolezza allorché questa entra in relazione con il grande flusso della coscienza, che scorre al di sotto dell'apparenza delle cose. Queste superfici lasciano fluttuare la nostra attenzione del momento per condurla subito al largo, fuori dal sistema dell'arte, come onde increspate sopra fondali d'oceano. II loro contenuto formale sembra polarizzarsi entro aree di lavoro diverse, sorrette, tuttavia, da un'intensa coesione tematica e dalla circolarità di atmosfere e risonanze segniche che contribuiscono all'alto livello poetico dei testi nel loro insieme. Il centro di gravità del percorso espositivo é rappresentato da tele a soggetto ideografico di grande impatto visivo, dominate da veri e propri pittogrammi e da cifre simboliche dal sapore primitivo dove percepiamo ancora il gusto pittorico del lavorato e la spirale del gesto armonico che v'era nell'aria prima di giungere a compimento, gli arabeschi e le sbavature, i tremoli e le acciaccature lasciati nella concrezione del colore. Si osservino con cura queste tavole sature di tutto il gusto dell'artista, del piacere della sua pittura; é quasi possibile vederlo indugiare dinanzi al quadro con la postura delle mani in attesa, quasi a prolungare la distillazione di un evento di cui il suo corpo é scena, teatro, più che attore. Osservare la mano,vedersi, attivare un'attenzione duplice verso la propria interiorità e quella superficie que sa blancheur défende, come osservava Mallarmé: é tale la fatica, attingere nel punto più profondo possibile di sé e poi regalare alla luce il segno che si manifesta grazie alla mano capace di conferirgli una forma, come un'attitudine del corpo o l'assunzione dinamica di figure nello spazio. La sapienza del suo corpo e la densità dell'emozione tendono ad esser governate solo esternamente dal pensiero, non sono il pensiero; allo stesso tempo, però, egli lascia che i contenuti seriali del testo si strutturino dall'interno del testo stesso, che diviene cosi una matrice inesauribile di infinite combinazioni. In questa stessa direzione vanno altre opere dal carattere squisitamente calligrafico, collocabili sulla linea di confine tra la pittura e la poesia giacché in esse la traccia segnica, pur conservando pienamente la sua consistenza iconica, diviene parola, quasi racconta con lo strumento della semiosi linguistica e letteraria. La linea di ricerca iconico-verbale, cui di fatto risultano collegabili queste opere, attraversa l'intera storia dell'arte e della letteratura occidentali, dai miniatori medievali alle avanguardie storiche, sebbene qui il gusto degli impianti resti sostanzialmente pittorico sia perché pittoriche sono le tecniche adoperate - si osservi, a riguardo, la ricchezza delle stratificazioni cromatiche dei piani - sia per il carattere concreto della calligrafia, governata secondo l'andamento di una linea continua che s'arresta e si prolunga in un flusso diagonale oro o argento, sopra e sotto velature di colore. II loro carattere stratigrafico ricorda gli antichi palinsesti su pergamena o i tratti riconoscibili delle sinopie negli affreschi consunti dal tempo, le cui lacerazioni Noce ripropone poeticamente con allusione implicita al disvelamento dell'io e alla continua trasformazione di cui la materia reca memoria. Non possiamo non pensare, guardando questi lavori, alla valenza sacrale che la scrittura aveva assunto, per esempio, nell'antica civiltà cinese dove, come ricorda Roland Barthes, ci si preparava a scrivere, cioè a maneggiare il pennello, al termine di un'ascesi quasi religiosa o, anche, all'Occidente medievale allorché in certe abbazie cristiane i copisti si dedicavano al loro lavoro nello scriptorium solo dopo un giorno di meditazione. Angelo Noce ritrova questa sacralità nell'atteggiamento interiore, ma non manca di riverberarla simbolicamente nell'assetto geometrico delle morfologie circolari, curvilinee e sinuose dei pittogrammi, o persino sferiche, come in un grande giallo posto al termine dell’itinerario espositivo: immagine per eccellenza del Sole e della perfezione oltremondana in quasi tutte le civiltà succedutesi sul Pianeta, la circolarità delle forme indica l'illuminazione dell'uomo e la neutralizzazione degli opposti; è nella direzione della pacificazione armonica delle parti che bisogna pure cercare per meglio comprendere questi dipinti, ora avvolti da toni soffusi, freddi, misteriosi, ora esplosi nella luce solare, direi mediterranea, della massa cromatica. Possiamo rinvenire questo gusto della luce in un altro gruppo di lavori a carattere figurativo, ove la fisiognomica dei suoi abitanti e i tratti epocali che l'accompagnano adombrano una fonte anch'essa arcaica, forse un'evocazione del mondo ellenico, che ben si inserisce nel registro stilistico scelto per l'allestimento. I personaggi entrano nella composizione come apparizioni d'angelo, sfumati, aerei, talvolta appena emersi dal fondo delle scene, di cui non sarà difficile riconoscere la contiguità con altri cicli pittorici di Noce, contraddistinti dalla stessa concezione spaziale e dal medesimo gusto tonale.

Gaetano Barbarisi

 
SUPERFICI DEL TEMPO
Palazzo Boselli di San Giovanni Bianco
1997
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