Con "Rotte di Terra" Angelo Noce coagula intorno a un progetto itinerante le linee della ricerca condotta per quarant'anni su alcuni nuclei tematici e poetici primari che costituiscono il grande flusso del lavoro estetico ed esistenziale dell'artista.
Accanto alle sostanze materiali e spirituali che negli anni hanno nutrito le singole opere, in quest'ultima fase operativa egli ha posto in essere una modalità espositiva che richiama da vicino quella dell'installazione vera e propria, all'orizzonte di un'atmosfera di passaggio, dal gusto errante e migratorio, che aveva caratterizzato solo lateralmente gli allestimenti più corposi e antologici degli anni Novanta, da Arcaica, realizzata nel 1996 alla Rocca Sforzesca di Soncino a Superfici del Tempo, progettata nel 1997 per le sale di Palazzo Boselli a San Giovanni Bianco, sino a Semi di memoria nel 1999 a Crema e Terra d'Ombra, allestita a Brescia nel 2000 tra le mura dell'antica chiesa di San Zenone all'arco. I temi cari all'artista sono da sempre la materia e la memoria: la prima, indagata e lavorata con la tenacia di chi intende conoscerne la biologia costitutiva, l'origine di ogni minimo germe vitale; la seconda vissuta nel punto di incontro tra lo stupore innocente della propria esistenza ed il destino dell'uomo sulla Terra. Nella sintesi indotta dal breve percorso espositivo, le opere qui presentate incoraggiano - come del resto nell'intero ciclo delle Rotte - un portamento leggero e vivace, favorito dal carattere itinerante recentemente introdotto, e che il titolo stesso anticipa eloquentemente per mezzo di un'efficace allusione. La figura, infatti, congiunge l'immagine della rotta - percorso di navigazione marittima o aerea, dunque legata agli elementi dell'acqua e dell'aria e simbolicamente alla sfera spirituale -con quella della terra, ovvero la concretezza del nostro vivere ordinario, il corpo, il mondo sensibile, la condizione umana. Il gusto sobrio e sacrale dei contenuti d'origine resta qui immutato grazie a quella speciale qualità che ha il frammento di evocare l'orizzonte del tutto e, soprattutto, la poesia dell'insieme, propria delle installazioni sapienti che Noce è stato capace di costruire in questi anni con il linguaggio della pittura e della scultura in luoghi densi di storia e fuori dai contesti mercantili dell'arte. Il grande vascello al centro della corte o le alte vele dipinte specificano l'atmosfera del viaggio, l'ingrediente più sapido delle opere in mostra: un cammino mitico e allusivo che intende richiamare il topos letterario del viaggio interiore e della conoscenza, dall'Ulisse omerico a Dante, dai pellegrini di Chaucer ai Magi di Eliot. Ordinariamente una mostra d'arte è una messa in scena, la migliore messa in scena che l'artista può portare a termine all'interno di uno spazio dedicato, in un dato momento. Egli finge in quanto enumera una rappresentazione di simulacri che sono rimanenze di un processo concluso, brani di materia privi di energia; di questa inevitabile caducità l'arte contemporanea ha mostrato in molti casi grande consapevolezza. Tuttavia, nella vita come nel lavoro artistico, quando la ricerca ha qualità non inganna e, più di ogni altra cosa, tende a depositarsi nei luoghi e nei corpi in modo impalpabile ma indubbio: la strada percorribile è compiere un lavoro vero nello spazio dove si convocano gli uomini; è fornire un'occasione reale di vita, che qui Noce dà alla luce consapevolmente come documento poetico del suo itinerario. Ed è il cammino effettivo, dunque la ricerca di una via, che l'autore auspica al visitatore di queste rotte fantastiche e reali tra terra e cielo, dall'opacità del minerale riscaldato e lavorato con la cultura del mestiere, alla trasparenza ariosa dei cartigli affrescati e sospesi. Quella nave è un'arca capace di condurci verso il centro di noi stessi e, allo stesso tempo, nell'universo fantastico creato dall'artista con l'incanto dell'infanzia e la passione del gioco. In questo territorio, in una varietà di registri, il segno realizza racconti calligrafici e cromatici che agevolano una profonda qualità dell'attenzione. In alcuni casi con il dettaglio e la luminosità del codice miniato, in altri per mezzo di un'elaborazione pittorica magmatica o figurativa, queste opere recano un'impronta magica, direi religiosa, spesso enfatizzata dalla forma dei rotoli cartacei o dalla collocazione su supporti a leggio che chiaramente ricordano il contesto liturgico della Scrittura e della preghiera. Proprio l'attenzione è la linfa di queste spore fertili, sottesa da un lato alla sapienza autonoma del gesto, all'osservazione del proprio corpo, dall'altro alla ricerca nel punto interiore dove il segno si era costituito da tempo e che la corretta coordinazione intellettuale, motoria ed emozionale - quando questa si compie - riesce a generare nel campo dell'ordito pittorico. In generale l'impianto di questi dipinti si dà come il reperto di una civiltà arcaica che intende farsi riconoscere, che invoca per essere riesumata; l'intento dell'artista è sì rivitalizzare dentro di noi l'eternità possibile dello sguardo, ma attraverso un campo d'impressioni in grado di richiamarci al presente del nostro essere storico e permetterci di stabilire una relazione, a un tempo civile e spirituale, con la memoria della nostra provenienza e la visione del nostro destino.

Gaetano Barbarisi

 

ROTTE DI TERRA
Museo valtellinese di storia e arte di Sondrio
2002
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