La macchina artificiale delle società moderne ha bisogno di continue legittimazioni. Ed è la macchina stessa a produrle servendosi di un mezzo antico quanto antichi sono i meccanismi di potere: il linguaggio. La parola, il discorso e il suo ordine sanciscono il dicibile. E nulla esiste se non il dicibile. Così la storia, così il tempo: che altro sono se non paradigmi dispotici traboccanti di senso, cui, invano credo, oggi si tenta di ridar ragione d'essere? L'idea di storia traccia una grammatica del tempo in cui ogni istante, scandito spazialmente, segna un punto ulteriore su una linea che raccoglie gli eventi e li orienta, li codifica, li impone linguisticamente in una direzione che è postulata essere quella del progresso. Ciò che segue è migliore di ciò che precede. E l'evoluzione è soltanto una sottigliezza utile a marcare l'idea di storia come verità del presente.
Il lavoro artistico di Angelo Noce è innanzi tutto compenetrazione profonda del suo essere con un tempo diverso da quello storico, sancito linguisticamente. Sente il tempo come compresenza, sincronia di uomini ed eventi: le modificazioni della materia, siano esse logorio o stratificazione, accadono in un arco variabile: l'epifania dell'istante, due o tre mesi di manipolazioni o anche tutta l'energia di anni o secoli nei quali le materie primarie usate dall'artista hanno impiegato per dichiararsi riconoscibili all'uomo che le sceglie. Ma la compresenza non è solo nell'oggettualità. La relazione tra l'artista e la materia è per certi versi un rapporto tra elementi: l'uomo è egli stesso materia che si trasforma. E in tale coscienza la folla di umanità precedenti - ma anche future -, di uomini diversi trovano un loro spazio naturale là, nella tridimensionalità delle polveri, delle terre, dei pigmenti della colorazione. Prima di ogni altra cosa sono la scansione e il ritmo a subire uno stravolgimento irreversibile. Nei lavori materici di Noce non c'è interruzione; addirittura lo iato necessario operato dalla cornice è una metafora perché in essi noi sentiamo la continuità con il resto del reale materico che ci circonda.
Ancora, perché si tratta di eventi non di rappresentazioni: in essi non c'è narrazione didascalica o concettualismo ma accadimento, qualcosa in atto che appare necessario, imprescindibile. "Non poteva che succedere ora, qui, a opera di questo e non un altro uomo" è ciò che ci si ripete guardando queste opere con attenzione. In esse c'è un movimento totale e pregnante che non potrebbe mai essere quello simbolico di rappresentazioni in cui la composizione simula energia cinetica. Qui la vibrazione è molecolare, microscopica ma profonda. Di fatto l'andamento dei contorni e delle forme, la loro valenza cromatica suggeriscono uno sguardo che attraversa longitudinalmente la superficie e ricerca il 'punctum' in uno spazio, insieme concreto e mentale, del tutto rimosso dalla cultura dell'oggi.
Il tempo, così, è centrale in queste opere. Lo è come territorio antistante la produzione artistica, nel luogo interiore dell'artista, partecipe di un’umanità che non conosce confini; nella materia, in continua trasformazione; quindi nella lavorazione; nello sguardo del fruitore al termine. Ma quale tempo? Tutte le risposte ipotizzabili sarebbero spauracchi e controfigure dell'idea di storia, che Angelo Noce conosce e mette in crisi insinuando nel cerchio descritto dalla materia anche il significante inesistente.

Gaetano Barbarisi

MATERIA MUTA
Centro culturale Sant'Agostino di Crema
1985

 

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