ARCAICA
Rocca sforzesca di Soncino
1996

 

Sullo scorcio dell'estate del 1969, allestita nelle sale della rocca sforzesca di Soncino, ebbe luogo un'importante rassegna internazionale d'arte contemporanea e d'avanguardia, una manifestazione artistica di grande rilievo per il territorio e, più in generale, per la storia dell'arte di quegli anni: si esposero le opere di artisti appartenenti a generazioni e orientamenti diversi, alcuni meno noti al pubblico, altri che avevano già maturato esperienze internazionali o che di lì a qualche anno avrebbero assunto un ruolo primario nella ricerca visiva del nostro tempo. Essa ospitò lavori di Lucio Fontana, scomparso l'anno precedente, e di Piero Manzoni, cui la propria città natale intitolava un premio, in omaggio al grande artista italiano. Quasi trent'anni ci separano da quella collettiva, da quando Angelo Noce, allora giovane pittore, allievo della scuola di Enea Ferrari, espose in quelle stesse sale insieme al gruppo la famiglia artistica di Soncino. Furono anni in cui convissero, con pari vigore, suggestioni assai eterogenee, in parte già manifestate nelle esperienze degli anni precedenti, in parte all'alba di un nuovo corso, soprattutto per ciò che riguarda l'elaborazione teorica sul ruolo e il compito dell'artista: così la continuità delle ricerche concretiste e materiche o le linee di una nuova figurazione, la riflessione concettuale e la scoperta della multimedialità, la performance, la contaminazione con le altre arti e, non ultimo per rilevanza, l'impegno civile e politico. In questo clima di grande vivacità culturale il cammino artistico di Angelo Noce conobbe una svolta, di lì a poco, infatti, avrebbe lasciato l' Italia per recarsi nel nord Europa, a Londra prima, ad Amsterdam dopo e, più tardi, nel meridione d'Italia, intraprendendo così un lungo viaggio che, probabilmente, la cerchia di intellettuali della sua città non poté fare a meno di leggere come un distacco, una frattura dolorosa seppure inevitabile. In realtà, la sua vicenda umana, prima ancora che artistica, ha poi rivelato quel momento come l'inizio di una migrazione perpetua quanto inappagabile, che avrebbe restituito l'artista alla sua terra d'origine con qualità e orizzonti nuovi: piuttosto che un distacco, nell'essenza della ricerca che un uomo può compiere dentro le trame della propria esistenza e del proprio linguaggio espressivo, quella partenza costituì un vero ritorno dentro se stesso. E le tappe di tale intendimento spirituale ed estetico esibite nel corso degli anni successivi, ne sono una testimonianza limpida ed eloquente. Oggi, da solo, egli rivisita il luogo, i muri e gli spazi di questo magnifico scenario quattrocentesco, con una scelta di opere che, priva di ogni velleità antologica, non nasconde, tuttavia, l'intento di documentare un periodo di elaborazione abbastanza esteso, l'inizio del quale possiamo utilmente collocare nel 1984, data di un'importante personale, “Materia Muta”, allestita prima a Salerno, l'anno dopo nella sala Angelo Cremonesi del Museo Civico di Crema. Cosicché il corpus centrale di questa esposizione si compone di opere appartenenti a diversi cicli: oltre che a “Materia Muta”, esse sono da ascrivere essenzialmente a “Terre Grafiche” (Brescia e Salerno, 1987), “Derive e Migrazioni” (Crema, 1987), “Indizi Terrestri” (Roma, 1989), “Ocra Rossa” (La Spezia, 1990) e “Migrazioni” (Crema, 1993). L'impianto, infine, contiene una sezione con dipinti inediti su cui varrà la pena di soffermarsi maggiormente per coglierne la continuità segnica con il passato. Nell'elaborazione più recente v'è un indiscutibile richiamo alla figurazione e l’atmosfera arcaica di grandi tele a soggetto calligrafico. In questo caso la fisiognomica, ma anche il tratto epocale che l'accompagna, ha un carattere astratto, astorico, per quanto referenziale possa apparire: suggerisce quella stessa atemporalità che l'estetica classica aveva posto a fondamento della propria filosofia rappresentativa e che questi lavori richiamano in modo vigoroso. I personaggi entrano nel dipinto come apparizioni d'angelo, sfumati, aerei, talvolta appena abbozzati, richiamando un importante precedente presente nella splendida opera murale “A ogni tempo ci sia dato esserci” presso la Camera del Lavoro di Crema.

Gaetano Barbarisi